Wellness LP: review on Soundzrise Magazine
C’è stato un periodo in cui la House non poteva essere confusa con nient’altro. Stilisticamente ed ideologicamente contrapposta alla Techno, fu glorificata da molti DJ e produttori che prediligevano l’utilizzo degli strumenti tradizionali (pianoforte in primis, seguito dagli aerofoni). Poi, complice l’avvento tecnologico e il conseguente rimescolamento stilistico, quella House ha perso la popolarità accumulata durante gli anni Novanta, sino ad essere spodestata da nuovi modi di concepire la musica da ballo. E’ tornata così ad essere un genere di nicchia, coltivato e tenuto in vita dagli appassionati non attratti dal richiamo che oggi esercita l’essere DJ o produttori di musica dance. Tra questi c’è proprio Pierre Santino, da Ulma, città nel Baden-Württemberg, in Germania. Le sue propensioni sono chiare come il sole: il Jazz, il Funk, il Soul. E la House ovviamente. Per nulla influenzato dalle attuali tendenze, partorisce un Album che, una quindicina (e passa) di anni fa, avrebbe lasciato un segno tangibile. In “Wellness” c’è raffinatezza e virtuosismo (“Play This Shit”, “Ahah”) ma anche grinta derivata dai più danzerecci 4/4 (“Deep Laura”, “Listen To Me”). Le componenti musicali sono bilanciate in modo perfetto e con la consapevolezza di chi ha idee precise da concretizzare senza perdere di vista l’obiettivo perché fuorviato da altri aspetti meno artistici. Con “I Love Jazz House”, “Make My House” (che lascia supporre una plateale dichiarazione) e “Benny” il tedesco esplicita le proprie convinzioni, e torna irrimediabilmente a battere il terreno dei suoi probabili mentori ed ispiratori (Masters At Work, George Morel, Erick Morillo, Tony Humphries, Todd Terry, CJ Mackintosh, Harley & Muscle, Osunlade, giusto per citarne alcuni). Il Soul ha la meglio nella title track, “Wellness”, per cui sembra fattibile il paragone con Nicola Conte o con le cose pubblicate dalla Talkin’ Loud di Gilles Peterson e Norman Jay nel suo periodo più intenso ed ispirato. Tutto viene ribaltato invece nel remix a firma Undeep, che trasforma la solarità in un raggelante gorgo ritmico, che di tanto in tanto lascia emergere striature melodiche. Un plauso è rivolto anche alla label che pubblica il tutto, la Apparel Music di Giuseppe ‘Kisk’ D’Alessandro, che si dimostra capace (come poche oggi) di trattare, anche approfonditamente, correnti stilistiche che rivelano una non indifferente preparazione tecnica e culturale. [Giosuè Impellizzeri]
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