Gli strumenti tradizionali utilizzati in “Psiconauta Vol.1” sono suonati tutti da te. Hai un background che in qualche modo potremmo definire classico?
Diciamo che sono sempre stato molto curioso in materia musicale. Questa curiosità mi ha spinto fin da bambino a giocare con le chitarre di mio padre e a chiedergli di insegnarmi a suonare la chitarra, così come a chiedere a mia nonna di insegnarmi a suonare il pianoforte. Ho passato tutta la mia vita a farmi insegnare a suonare, da familiari, amici, conoscenti. Poi ho preso vere e proprie lezioni private, in scuole di musica: piano, chitarra, basso elettrico, batteria, canto. Una volta iscritto a un corso, m’impegnavo per un paio d’anni ad esercitarmi, e poi decidevo di cambiare strumento. Questo ha fatto sì che io non sia un virtuoso di nessuno strumento, ma ne so suonicchiare parecchi. Mi piace anche sperimentarne di nuovi, di etnici: in ogni luogo che visito vado a caccia degli strumenti locali e ci sperimento, divertendomi come un bimbo.
Ci racconti le tappe fondamentali del tuo percorso artistico come Jacky 0?
Invece che elencarti numerose tappe, vorrei raccontarti di un unico momento davvero fondamentale nel percorso artistico di Jacky 0: l’incontro con Giuseppe D’Alessandro, il label owner di Apparel Music. Saranno stati un paio d’anni fa, o forse anche di più: Giuseppe era stato invitato a cena in casa mia dei miei coinquilini di allora, entrambi dj e produttori. Avevano appena sentito parlare di Apparel e volevano fare ascoltare la loro musica a Giuseppe. Io ero sdraiato sul mio letto, con le cuffie addosso, e stavo facendo musica per i fatti miei. A un certo punto Giuseppe è venuto da me, mi ha chiesto di togliermi le cuffie, e mi ha detto: “E tu invece, che musica fai?”. Io gli ho risposto che ero in un periodo molto indeciso, ero scontento dei miei esperimenti techno/tech house, non sapevo che musica fare e che in quel preciso momento (proprio quel giorno) avevo deciso di fregarmene degli stili e delle etichette e stavo cominciando un pezzo slegato dalle influenze dei generi e degli altri producer, un pezzo davvero mio, esclusivamente mio. Mi ha chiesto di fargli ascoltare quello che stavo facendo (era Adrift, il secondo brano dell’album). Dopodiché mi ha detto: “Questa musica è bellissima, è elettronica davvero umana. Se fai un album tutto così, così intimo, così intenso, non vedrei l’ora di pubblicartelo!” Quelle parole mi diedero tantissima forza, mi tolsero per un attimo tutta l’insicurezza artistica che provavo. Nel giro di un paio d’anni, infatti, gli consegnai “Psiconautica Vol. 1”. Qualche tempo dopo quel primo incontro con Giuseppe, conobbi anche Tatiana Carelli, sua compagna, proprietaria dell’etichetta letteraria digitale Nobook. Anche quell’incontro fu decisivo: visto che adoro scrivere, oltre che fare musica, con l’aiuto di Tatiana e Giuseppe ho realizzato “Red Thrill”, un lavoro uscito nel Marzo 2013. Red Thrill è un lavoro che unisce le mie due passioni: la musica e la scrittura. Infatti è un EP digitale di quattro brani, e un E-book di quattro racconti, con gli stessi titoli dei brani dell’EP. Volevo esprimere le stesse emozioni con le due forme espressive che amo di più!
La tua musica è ricca di contaminazioni, ma credi anche nell’incontro tra elettronica analogica e digitale?
Mi piace mettere nei miei brani tutti gli strumenti musicali che so suonare, e più suoni concreti possibili, registrati in studio e in giro… ma la parte elettronica dei miei lavori è digitalissima! Adoro i virtual instruments, e con alcuni software si riescono a partorire dei suoni assurdi e bellissimi (soprattutto con Reaktor della Native Instrument, o anche con il complesso Max/Msp). Synth e macchine analogiche non le conosco abbastanza bene per dirti se credo nell’incontro tra i due mondi. Il massimo che ho fatto in termini di macchine analogiche è stato usare un microkorg (che mi è stato prestato da un amico) in qualche pezzo. Però sto progettando di comprare un sintetizzatore analogico, sarà sicuramente una delle prossime spese.
La musica elettronica, il produrre in un laboratorio tra sintetizzatori, laptop e quant’altro, è più stimolante, per te, del curvarsi su una chitarra?
Trovo che curvarsi su una chitarra sia semplicemente un po’ limitante. La cosa più bella, secondo me, quando si scrive musica, è fare di tutto: curvarsi sì sulla chitarra, ma anche suonare strumenti di qualsiasi tipo, cantare, utilizzare il computer al massimo, sperimentare. La musica per me è questo, sperimentazione. Con tutti gli strumenti possibili, con entusiasmo e curiosità infantile.
Che forma assumono i tuoi live? Come li organizzi?
Sto progettando due live, molto diversi tra loro. Un live sarà più orientato verso una situazione da club, quindi sarà un live dalle sonorità un po’ techno, un po’ house. Rivisiterò i miei pezzi in chiave più dance. L’altro live (che ancora non è pronto) sarà un vero e proprio concerto. Suonerò dal vivo i miei pezzi, con laptop, controller, chitarra, microfono per la voce e più strumenti possibili…magari anche con il supporto di una piccola band di due o tre persone.
Alcune tracce del tuo album sono più ballabili delle altre, con la cassa in 4/4 più evidente del solito ed un sound più techno, sebbene sempre impregnato di melodia. Hai mai pensato di approfondire, magari in futuro, questo lato della tua ricerca?
Approfondire la mia anima dance in futuro? Non lo escludo, ma non ci giurerei neanche. Il punto è che il mio progetto “Jacky 0” è nato, come dicevo, su consiglio di Apparel Music, come un progetto di libertà, di sfogo emotivo, di umanità estrema, di coerenza emotiva, e di sincerità artistica. Non riesco a pensare di dover fare qualcosa più di un genere, o più di un altro…sinceramente non so neanche io precisamente che direzione prenderanno i miei brani in futuro! Suonando dal vivo magari capirò se mi sento più a mio agio in situazioni da dancefloor o da concerto d’ascolto. E forse questo influenzerà anche le mie produzioni. Magari farò un album techno, magari ne farò uno dubstep o pop, oppure orchestrale. Dipende solo da che cosa sarò in grado di comunicare, in seguito alle nuove esperienze che proverò, in seguito ai nuovi esperimenti che farò.
Abbiamo detto che il tuo debutto si intitola “Psiconauta Vol.1”. È forse il risultato di un tuo personale percorso di introspezione?
Sì. È il risultato di un percorso, di una ricerca febbrile. Introspettiva soprattutto, ma anche proiettata verso l’esterno, verso il mondo. Sono in costante ricerca di esperienze nuove, di incontri, di passioni, di chiacchierate fino all’alba, di momenti d’amore e di paura. Di emozioni forti. Mi sentirei a disagio nel condurre una vita piatta, sterile, tranquilla. Sono sempre a caccia di esperienze sempre più folli e intense, senza le quali non riuscirei davvero a vivere. E naturalmente non riuscirei a fare musica. Che per me è la stessa cosa, in realtà.
Intendi la composizione (ma anche la semplice fruizione musicale) come un’attività terapeutica? Un modo per prendere, di tanto in tanto, le distanze dalla realtà che ti circonda?
Sì, ma senza il “di tanto in tanto”. La musica per me è davvero terapeutica, mi fa tirare fuori tantissime cose che se lasciassi dentro di me farebbero la muffa. Riesco a passare giorni e giorni chiuso in studio, nella mia “bolla”, con la paura di uscire. Perché nel fare musica trovo una rassicurazione che non trovo altrove, nella vita quotidiana fuori dallo studio.
Domanda di rito per noi: i tuoi principali ascolti di questa prima metà del 2013.
L’ultimo album di Jon Hopkins, l’ultimo album di Bonobo, l’ultimo album dei Moderat, l’ultimo EP di Gold Panda, e per uscire dall’elettronica (ma neanche troppo) l’album degli Alt-J . Questi sono stati gli album che ho divorato quest’anno.
Programmi per il futuro?
Ora mi concentrerò prima di tutto sui live, mi chiuderò un pochino in studio e proverò ad esibirmi dal vivo davanti a un pubblico immaginario. Poi vorrei andare a stare un po’ a Berlino, trasferirmi lì per un po’. Con la musica che faccio, a Berlino mi sento a casa, mentre a Milano vivo in uno stato di insoddisfazione e inquietudine perenne. Mi sento sempre a disagio qui, e il genere musicale che faccio non ha molto seguito qui in Italia, mentre a Berlino, dove sono stato di recente, mi hanno subito chiamato a suonare al Gegen party, al Kitkat. A Berlino sentivo di essere davvero a casa, nel posto giusto. Un produttore di musica elettronica che da Milano va a vivere a Berlino non è certo la cosa più originale del mondo, ma credo che lo farò, in un futuro non troppo prossimo.